
Sacerdoti in allarme, pensioni bloccate e tagli nascosti - iccivitella.it
Un’analisi mette in luce le criticità del sistema previdenziale dei ministri di culto: importi già bassi ridotti da regole speciali e mancati adeguamenti all’inflazione.
Il tema delle pensioni in Italia resta uno dei più discussi, soprattutto quando si affronta il nodo delle rivalutazioni legate all’inflazione. Negli ultimi anni, le polemiche si sono concentrate sugli assegni medio-alti, che non ricevono un adeguamento pieno al costo della vita. Uno studio di Itinerari Previdenziali ha evidenziato come una pensione lorda di 2.500 euro abbia perso oltre 13.000 euro di valore reale a causa dei tagli progressivi. Ma accanto a questa problematica, c’è una categoria spesso dimenticata: quella dei sacerdoti. Le pensioni del Fondo Clero si collocano già su livelli molto bassi e vengono ulteriormente penalizzate da regole particolari, uniche nel panorama previdenziale italiano. Il risultato è che preti e religiosi, pur svolgendo un ruolo sociale e comunitario di rilievo, si ritrovano con assegni tra i più fragili dell’intero sistema.
Le rivalutazioni ridotte e le perdite di valore reale
Il meccanismo di rivalutazione delle pensioni in Italia è basato sull’inflazione e serve a preservare il potere d’acquisto degli assegni. In teoria, tutti i pensionati dovrebbero beneficiare di questo adeguamento, ma nella pratica non funziona così. Le pensioni minime ricevono un adeguamento pieno all’aumento del costo della vita. Quelle di importo più elevato, invece, subiscono rivalutazioni parziali o addirittura azzerate. Questo sistema, che dovrebbe garantire equità, nel tempo genera una perdita consistente: chi ha versato contributi regolari e consistenti vede il proprio assegno svalutarsi progressivamente.

Gli effetti si vedono chiaramente nei dati. Una pensione da 2.500 euro lordi, negli ultimi anni, ha perso circa 13.000 euro complessivi di valore reale, un ammanco che pesa sul bilancio delle famiglie. Ogni anno si parte da importi già ridotti, accumulando nuove perdite e innescando un circolo vizioso. In questo contesto si inserisce la questione dei sacerdoti. Le loro pensioni non rientrano tra quelle definite “d’oro”: si tratta di importi bassi, spesso di pura sussistenza, che non beneficiano nemmeno di indennità accessorie. Il problema è aggravato da regole speciali che finiscono per rendere questi assegni ancora meno tutelati.
Preti e sacerdoti: riduzioni automatiche e regole penalizzanti
Il caso più critico riguarda la riduzione di un terzo della pensione del Fondo Clero quando il sacerdote percepisce un altro assegno mensile, anche se di importo modesto. Questa regola non ha eguali in nessun’altra gestione previdenziale e rappresenta una vera e propria penalizzazione strutturale. La norma si applica senza eccezioni, neppure per le pensioni di invalidità. Una contraddizione evidente, perché tocca chi si trova già in una condizione di fragilità economica e sanitaria. Secondo i dati diffusi dall’INPS nel 2025, questo meccanismo comporta una perdita media di circa 2.884 euro l’anno, che moltiplicata per la durata complessiva dell’assegno porta a un danno economico rilevante.
Il quadro diventa ancora più complesso alla luce delle recenti modifiche normative. Con la circolare INPS n. 128/2025, emanata il 23 settembre, sono stati aggiornati i contributi dovuti al Fondo Clero in applicazione del Decreto del Ministero del Lavoro del 30 luglio 2025. Le nuove regole si applicano retroattivamente dal 1° gennaio 2024, con ulteriori conseguenze sul già fragile equilibrio delle pensioni dei religiosi. Il risultato è un sistema che tratta in modo diseguale categorie di pensionati: da un lato gli ex lavoratori con assegni medio-alti, che perdono progressivamente potere d’acquisto; dall’altro i sacerdoti, che partono da pensioni modeste e subiscono anche tagli specifici. Una condizione che solleva interrogativi sulla sostenibilità e sull’equità di queste scelte, considerando il ruolo sociale che i ministri di culto ricoprono nelle comunità.